venerdì 12 gennaio 2018

L'influenza greca nella pittura etrusca: il simposio


Per gli antichi la pittura deteneva un assoluto primato come "arte guida". L'uso della linea e del colore permetteva di rappresentare raffigurazioni complesse, capaci di riprodurre la realtà, ma soprattutto di creare l'illusione della realtà, colpendo la fantasia degli osservatori e generando meraviglia. Tutto ciò appare chiaro nelle pagine della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. 


Il numero di documenti della pittura greca, parietale e su tavola, è assai limitato. La ragione della perdita quasi totale del patrimonio pittorico greco risiede nella scelta prevalente di decorare le pareti di edifici sacri e civili, mai quelli funerari. 
Ma i caratteri salienti della pittura, soprattutto quelli che riguardano la sintassi compositiva delle scene e i progressi nella resa plastica e prospettica delle figure, si ritrovano nella penisola italica: Etruria, Campania, Apulia, Lucania, Sicilia, Sardegna. 

La documentazione ascrivibile alla sfera funeraria prevale nettamente sulle altre, rientrando nelle manifestazioni della cultura del ceto aristocratico che, a partire dall'età orientalizzante, affida le proprie commissioni ad un artigianato sempre più specializzato. 

Tomba Bartoccini - Tarquinia

Il tema raffigurato in questa tomba avrà una grande fortuna nel mondo etrusco: si tratta del simposio
La tomba presenta una decorazione integrale del soffitto a scacchiera policroma che si estende alle pareti e sul frontoncino al di sopra della porta d'accesso al secondo vano, in cui vediamo una prima rappresentazione del simposio, con figure maschili distese sulle klinai, donne sedute e giovani inservienti. 
Quest'ultimo tema assume agli occhi dei committenti etruschi un valore simbolico talmente pregnante  e denso di significati ideologici da costituire, in alcuni casi, l'unico soggetto decorativo in tombe che mantengono le pareti bianche. 

L'influenza greca

La formazione urbana viene influenzata dal contatto con le comunità greche-euboiche che si stanziano nel Golfo di Napoli a partire dal 770 a.C. 
Gli scambi tra le genti indigene e quelle greche sono attestati nei corredi funebri di Tarquinia, Veio e Cerveteri. Inizialmente vengono assimilati tecniche e modelli figurativi e poi modelli culturali, come la scrittura, il simposio e l'ideologia funeraria eroica
Ma cosa spinse i Greci ad avere contatti con gli Etruschi? Principalmente i Greci avevano interesse nello sfruttamento delle colline metallifere etrusche. 
Si pensa che la viticoltura in Etruria ed in Lazio si debba ai Greci, infatti in questo periodo abbiamo una produzione massiccia di forme vascolari connesse al vino, il cui consumo è sicuramente collegato ai Greci. 
Arrivano con i Greci anche nuove lavorazioni per la terracotta, con l'argilla depurata e poi anche di impasto sottile eseguita al tornio veloce (cotta poi a temperature elevate). 


Tomba dei Leopardi (470 a.C.) - Tarquinia


Tutte le tombe più significative che si pongono tra il 480 e il 460 a.C. hanno come tema fondamentale il simposio. In questa tomba possiamo osservare come i modelli greci siano stati perfettamente assorbiti dalla civiltà etrusca, rendendoli simbolo di una grande aristocrazia. 
I modi arcaizzanti sono molto evidenti, come nella struttura delle figure e nel cromatismo; tuttavia vengono acquisite anche le tecniche più aggiornate per la resa plastica delle figure e addirittura per qualche esercizio prospettico. 


Il simposio

Nella cultura greca il simposio rappresenta un momento particolare del banchetto, quello deputato al consumo del vino. Il vino era una bevanda aristocratica che veniva distribuita tra i partecipanti di pari livello economico e sociale. 
In Grecia il simposio prevedeva la partecipazione di personaggi di sesso maschile, usanza affermata anche in Etruria, anche se qui troviamo una novità: viene rappresentata la dimensione "familiare", dove la sposa prende posto sulla kline conviviale accanto al marito, con cui si scambia gesti di tenerezza. Troviamo questo tipo di scena nella sfera funeraria, con rappresentazioni sui coperchi dei sarcofagi. 

Il riflesso della cultura greca in quella etrusca è evidente, addirittura nei miti di alcune città, come nel caso di Demarato di Corinto, padre di Tarquinio Prisco, arrivato a Tarquinia intorno al 657 a.C. Vediamo anche luoghi impregnati di cultura greca, come nel caso di Pontecagnano, dove arriva la ceramica euboica degli skiphoi a semicerchi penduli e quella delle coppe a chevrons, per cui, però, è difficile definire un'esatta provenienza: può trattarsi di ceramica euboica, attica o corinzia. 



Fonti
Gilda Bartoloni, Introduzione all'etruscologia, Hoepli, Milano, 2016.
Massimo Pallottino, Etruscologia, Hoepli, Milano, 2016. 

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lunedì 13 novembre 2017

In vetta: Giarolo



E' arrivato l'autunno e come ogni anno io ed il mio ragazzo abbiamo deciso di inaugurare la "stagione escursionistica invernale" con il Giarolo, una delle montagne più famose della provincia di Alessandria. 
Il Giarolo vanta un'altezza di 1473 m s.l.m. e nelle parti più basse è ricoperto da faggi e larici che, in autunno, si tingono di colori meravigliosi. 
Attualmente sul Giarolo non ha ancora nevicato, ma su molte cime circostanti appaiono vaste distese bianche. 

Il meraviglioso mare di nubi che ci ha regalato il Giarolo


Percorso e difficoltà

Partendo dal rifugio escursionistico Piani di San Lorenzo (sopra Cantalupo Ligure, AL - Val Borbera) il percorso non ha grandi difficoltà, anzi, è l'ideale per chi è fuori allenamento o non vuole compiere un eccessivo sforzo. 
Con un passo regolare e sostenuto si impiega circa 1 h/1:30 h per giungere sulla vetta. 



Non occorrono attrezzature specifiche: il sentiero si mostra inizialmente in piano con piccole salite, successivamente diventa moderatamente ripido. Si consiglia comunque l'utilizzo di scarponcini da montagna, se possibile impermeabili (in questa stagione è facile trovare fango, pozzanghere, neve o ghiaccio). 


In questo periodo i sentieri sono ricoperti da un bellissimo tappeto rosso di foglie, trasformando il bosco in un vero spettacolo. 

I Piani di San Lorenzo 

Il rifugio è collocato a 1101 m s.l.m. su una vasta area pianeggiante composta da terrazzamenti una volta coltivati ed è circondato da faggete e abetaie. 



Per giungere in questo rifugio bisogna andare in direzione Cantalupo Ligure (AL), in val Borbera, e svoltare a sinistra su strada asfaltata al cartello stradale Pallavicino per circa 3,5 km. 

La valle

In vetta

Da questa meravigliosa vetta è possibile ammirare - nelle giornate più limpide - le alpi e tutte le montagne circostanti. 



Se quasi tutto il percorso è caratterizzato da faggi e larici, qui ci troviamo invece su vasti prati, dove nella bella stagione, ma ancora adesso fino all'arrivo della prima neve, pascolano indisturbati i bovini. 
In questo periodo dell'anno - quando i molti turisti estivi sono lontani - il paesaggio è estremamente bucolico e rilassante. 



Ed infine tramonto!


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venerdì 1 settembre 2017

Il Voltone di Tortona, ciò che rimase dopo il passaggio di Napoleone



Appena sopra al centro di Tortona si trova il colle Savo, luogo in cui il popolo dei liguri, tra l'VIII e il V secolo a.C., costruì un villaggio fortificato per dominare la pianura, all'epoca paludosa (l'antica Dertona). Su questa collina troviamo varie rovine di epoche differenti, tra cui il cosiddetto Voltone
Qui sorge il Parco del Castello di Tortona, un luogo ricco di vegetazione e di ampi spazi in cui si possono trascorrere momenti di relax. 



Il Voltone

Si tratta di una torre, divenuta oggi uno dei simboli della città, la quale faceva parte della fortezza sabauda di San Vittorio


Storia

Tra l'VIII e il V secolo a.C. sul colle Savo i liguri fondarono un villaggio, il castelliere. Con la colonizzazione da parte dei romani (intorno al 123 a.C.) questo luogo fu trasformato in castrum ed il nucleo della città si espanse ai piedi della collina, nella pianura bonificata. 

Successivamente, con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e le continue incursioni barbariche, Dertona dovette affrontare un periodo di crisi e la popolazione si ritirò intorno al castrum, infatti la Tortona medievale si espandeva principalmente sulle pendici del colle. 

Nel 1155 la città venne assediata dai Barbarossa e nel 1165 venne distrutta dalle truppe di Pavia. Successivamente, con l'aiuto di Milano, Tortona venne ricostruita
Questa ricostruzione portò ai piedi del colle il centro della vita cittadina e del commercio, lasciando invece su di esso il castello, la cattedrale e altri edifici governativi e religiosi. 

Nel 1347 la città venne annessa al Ducato di Milano. I Visconti rinforzarono le mura cittadine ed il castello. Quest'ultimo, nel 1499, non riuscì a far fronte alle truppe di Carlo VIII di Francia  a causa delle armi da fuoco, dovendo così arrendersi. 

Nel 1535 Tortona passò al dominio spagnolo che eseguì grandi lavori di fortificazione, costruendo una cinta bastionata intorno alla città e ampliando il castello, rendendolo più moderno. 
La nuova fortezza era divisa in due parti, quella alta e quella bassa. Alcuni spazi risalenti a prima del 1000, come il Palazzo Vescovile, vennero distrutti, mentre la cattedrale fu chiusa al culto e inglobata nelle nuove costruzioni. La cattedrale sopravvisse fino al 1609, quando un fulmine colpì il campanile (usato come polveriera) e la fece esplodere. 

Nel 1706 il dominio di Tortona passò agli austriaci ed in seguito la città fu nuovamente vittima di assedi che la devastarono e che misero in luce tutte le sue debolezze e mancanze. Per questo Vittorio Amedeo III di Savoia, dopo che Tortona era passata al Regno di Sardegna nel 1738, decise di ricostruire ex novo il forte. Il progetto fu affidato all'ingegnere militare Lorenzo Bernardino Pinto

Il forte

G.P. Bacetti, Assedio di Tortona
Pinto aveva elaborato i concetti di Marc-René de Montalembert. Il forte aveva la forma di un rettangolo irregolare di 150 x 200 metri. I bastioni, con volte a più piani, erano utilizzati come magazzini. 
Il forte era molto elevato per potersi difendere in maniera ottimale, la parte più bassa del cortile era di 30 metri fino ad arrivare a 54 metri. Dove il fossato era tagliato nella roccia l'altezza era di 24 metri. 
L'aspetto del forte era straordinario, intimoriva chi lo osservava grazie alle sue altezze e proporzioni, infatti la sua forma allungata ricordava quella di una nave da guerra. 
Le idee di Pinto erano luminari, infatti il forte di San Vittorio non si rispecchiava nelle altre fortificazioni contemporanee, ma in quelle successive, come il Forte di Bard in Valle d'Aosta. 




L'ultimo assedio e la sua demolizione

Nel 1799 le truppe francesi si erano assestate nelle fortificazioni di Alessandria e di Tortona. La Cittadella di Alessandria venne presa in sole due settimane, nonostante la guarnigione fosse più forte di quella di Tortona. 
Gli ingegneri piemontesi avevano avvertito le truppe austriache che ci sarebbero voluti almeno cinque mesi per espugnare la fortezza, ma il generale Lopez era convinto di poterci riuscire in meno di cinque settimane. Il generale, però, si sbagliava, infatti i cannoni del forte martoriavano le truppe austriache, le quali avevano dovuto costruire le trincee in elevazione, senza poterle scavare per via del durissimo terreno. Nel frattempo, però, i francesi erano stati sconfitti nella battaglia di Novi e la fortezza di Tortona era rimasta di fatto isolata. Così i tortonesi e gli austriaci concordarono per una resa con l'onore delle armi da parte degli assediati se non fosse giunto nessuno in loro aiuto entro l'11 Settembre. E fu così, che in quella giornata, la fortezza fu presa dagli austriaci dopo aver dimostrato un enorme valore, essendo riuscita a resistere per lungo tempo ad uno degli eserciti più potenti dell'epoca. 

Con la battaglia di Marengo i francesi riuscirono a riprendersi Tortona potenziando il forte. In seguito, a causa di accordi presi tra Napoleone e lo Zar di Russia il castello fu demolito, con l'ausilio di mine, nell'aprile del 1801.

L'unica parte sopravvissuta alla demolizione fu il Voltone, oggi simbolo di una grande forza e volontà della città di Tortona. 




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lunedì 28 agosto 2017

Julia Augusta Bagiennorum

Anfiteatro

Ci troviamo a Bene Vagienna, in provincia di Cuneo. Si tratta di un piccolo comune di circa 3.500 persone situato nella pianura cuneese, tra due affluenti del Tanaro (Mondavia e Cucetta).

Julia Augusta Bagiennorum, così era chiamata dai romani l'odierna Bene Vagienna, oppidum del popolo dei Liguri Bagienni che occupavano il territorio tra il Po' ed il Tanaro, sorgeva a circa 2 km dalla città odierna, presso la frazione di Roncaglia.



L'area archeologica è sottoposta a tutela fin dal 1933, quando fu creata la riserva speciale di 243 ha. I Bagienni furono cacciati dal loro centro da popolazioni celtiche, soprattutto dai Boi, dirigendosi in Emilia-Romagna, nella zona di Bobbio. Furono conquistati dai romani verso la metà del II secolo a.C. e poi inglobati nell'impero romano.



Il centro era di importanza strategica per il controllo tra la Pianura Padana, le valli degli affluenti del Po e i valichi alpini.
Il centro sorgeva a nord del torrente Mondalavia e i suoi resti sono visibili in parte con un foro cittadino (ancora quasi completamente ricoperto), un teatro, un anfiteatro, un tempio, una basilica, le terme e un acquedotto.
Era una delle più importanti città dell'Italia nord-occidentale, indicata dai romani come Gallia Cisalpina.

Caduta al tempo delle invasioni barbariche Augusta venne seppellita e solo nel 901 si ritrovò il primo documento di storia medievale di Bene, chiamata poi dal 1862 Bene Vagienna.
Fu una pianura delimitata dalla Stura e dal Tanaro che Giuseppe AssandriaGiovanni Vacchetta, due studiosi locali, iniziarono le ricerche e con ripetuti scavi reperirono un primo rilievo dell'antica città sepolta sotto circa 50 cm. Essi riportarono alla luce Augusta tra il 1894 e il 1925.



CURIOSITA': fu citata anche da Plinio Il Vecchio.

Modalità di visita

Orario: tutti i giorni dall'alba al tramonto.
Tariffe: l'ingresso è gratuito con visita libera.
Visita: il percorso comprende la visita ai resti dell'anfiteatro, del teatro, della basilica medievale e del cosiddetto Capitolium; è identificato da una passerella lignea e scandito da pannellistica bilingue che illustra i principali monumenti dell'area. La durata della visita è di circa 1 ora.

Basilica cristiana

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Dertona ed i suoi monumenti sepolcrali



Tortona o Dertona? Potremmo dire che il vero nome della cittadina piemontese in provincia di Alessandria sia Dertona, inizialmente città dei liguri. 
Gli storici sono ormai concordi nel pensare che il primo insediamento abitativo si sia realizzato in epoca preistorica, tra l'VIII e il V secolo a.C., ad opera dei liguri. Questi ultimi si trovavano su un villaggio fortificato sulla collina, dominando così la pianura, allora paludosa. 

Arrivano poi i romani nel 120 a.C. trasformandola in loro colonia, come racconta Valleio Patercolo (storico latino). Stando a quest'ultimo Tortona sarebbe la più antica colonia romana del Piemonte, precedendo di 23 anni Ivrea (Eporedia). 
Tra il 40 ed il 30 a.C. il territorio di Dertona è oggetto di una seconda colonizzazione: Ottaviano assegna terre dertonine ai suoi veterani di guerra; in seguito a questo episodio la città verrà appellata Julia Dertona.

Via Emilia (ex via Postumia)

Dertona assunse una grande importanza in epoca romana grazie alla sua posizione strategica, già individuata dai liguri, rafforzata dalle vie consolari Postumia, Emilia Scaura e Fulvia. 
Questa città ha molte tracce della centaurizzazione: mura, acquedotto e monumenti sepolcrali. 

LA NECROPOLI ROMANA
La necropoli romana si trova in un'area con destinazione funeraria a partire dalla seconda età del Ferro e si attesta una continuità d'uso ancora in età tardoantica e medievale. 
Si colloca lungo il tracciato della Via Postumia (attualmente via Emilia) fuori Porta Ticinensis.
E' nota almeno dall'inizio del Novecento per l'emergenza di ciò che rimane dei suoi imponenti e maestosi monumenti funerari (oggi visibili sui lati della strada) e per il rinvenimento di numerose iscrizioni, soprattutto paleocristiane e altomedievali.
Si possono ammirare due monumenti funerari a podio, databili alla prima età augustea, uscendo da Tortona in direzione Voghera, in via Emilia all'incrocio con via F.lli Pepe.
Queste due strutture furono costruite in blocchi di arenaria e sono prive di camera sepolcrale interna, infatti erano utilizzate come monumenti di copertura del luogo di sepoltura. Furono poi abbandonate in età imperiale.



Proseguendo in via Emilia all'incrocio con via degli Orti sono presenti una struttura a recinto ed un rudere, unico resto visibile di un altro complesso di due monumenti funerari.
I monumenti funerari sono quindi dislocati e questo fa presumere che i sepolcri non si trovassero a distanze costanti, ma che invece fossero organizzati per nuclei ad iniziare dalle zone più prossime al centro urbano.
Si pensa, quindi, che dal periodo antico e altomedievale si siano iniziate ad occupare le aree comprese tra i vari nuclei sepolcrali, infatti una frequentazione della necropoli nel periodo tardo romano è attestata nella collezione epigrafica paleocristiana ritrovata.


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venerdì 4 agosto 2017

Chiare, fresche e dolci acque alla plage de Paraguan


L'idilliaca spiaggia del Paraguano si trova in Corsica, vicino a Bonifacio. Per arrivarci bisogna intraprendere una strada inizialmente sterrata e larga e successivamente in cemento, strettissima ed in discesa. Le difficoltà maggiori si presentano al ritorno: se si incrociano una o più macchine in senso opposto la situazione può diventare molto complessa ed è per questo che è consigliabile recarcisi a piedi (almeno che non siate in moto).
Tuttavia questa piccola spiaggia ne vale davvero la pena! Non c'è mai tanta gente, anzi, solitamente si possono incontrare 10/20 persone.

L'acqua è cristallina e di un turchese tendente al verde (come molte delle spiagge di queste zone); la sabbia è bianchissima e finissima: sembra di camminare sul velluto!
E' contornata da montagne semi-rocciose che rendono il paesaggio molto particolare, soprattutto se messo in relazione con il mare.


Da questa spiaggia è possibile intraprendere un sentiero costiero in parte sotto la vegetazione e in parte non riparato. Vi condurrà alla spiaggia della Tonnara, dove vi è nuovamente una sabbia finissima in un'acqua limpida e azzurra. Attorno alla baia della Tonnara troviamo un paesaggio roccioso, soprattutto con granito rosso, in cui si formano deliziose calette e dove crescono numerose piante grasse coloratissime e della macchia mediterranea.
Dal spiaggia del Paraguano alla Tonnara il tempo impiegato è di circa di due ore.

La Tonnara
Una delle tante calette alla Tonnara
Se desiderate riempirvi gli occhi ed il cuore di bellezza recatevi in questa meravigliosa baia. Io ne sono rimasta innamorata.
Ricordatevi, la Corsica è pace, natura, tranquillità, ordine e pulizia, se non rispetterete queste caratteristiche non sarete i benvenuti.







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giovedì 3 agosto 2017

Storia e cultura ad Aleria


La Corsica non è solo mare e montagna, ma una terra con una grande storia. Da sempre, insieme alla Sardegna, fu una delle mete preferite dai popoli preromani. 
Aleria, insieme a Mariana, fu la città romana più importante dell'isola.

Nel V secolo a.C. lo storico Erodoto citò l'arrivo da Oriente di un gruppo di Greci focesi ad Alalié (nome greco della città) cacciati dai Persi verso il 545 a.C. dalle rive dell’Asia Minore. All’arrivo trovarono una colonia greca che occupava Aleria già da vent'anni. Oggi solo alcuni frammenti di ceramica a figure nere ricordano questo momento evocato da Erodoto. 

A sud, nella sinuosità del tufo ai margini dei terreni agricoli, si trova la necropoli di Casabianca, la quale rivela arredi funerari del V e IV secolo a.C., costituiti soprattutto da cocci di vasi etruschi e greci. Questo lascia supporre rapporti stretti con il nord dell'Etruria, anche se la natura di questi ultimi resta ancora da definire. Ma la necropoli è anche testimonianza di una società preromana corsa con una cultura influenzata da Cartagine e Iberia.

Cratere del Pittore di Pan, V secolo a.C.


Aleria è situata più a nord di Mariana e fu fondata nel II secolo a.C. Ci fu un popolamento avvenuto mediante una colonizzazione in diverse ondate attribuibili rispettivamente a Silla verso l'81 a.C., a Pompeo tra il 79 e il 50 a.C., a Cesare nel 46 a.C. e ad Augusto attorno al 24 a.C.
Questi molteplici cambiamenti di regime lasciano tracce nella struttura architettonica della città.
I monumenti principali si dispongono intorno ad un foro i cui lati porticati costituivano la facciata dei negozi
Durante il I secolo d.C. Aleria conserva un’attività economica basata sull’agricoltura e sulla selvicoltura ed inoltre assume anche un carattere militare (i bastioni, infatti, vennero ristrutturati).
La città si evolverà fino alla tarda antichità e subirà numerose modifiche ed interventi visibili sugli edifici o nella disposizione generale degli assi viari.

A partire dal IV secolo d.C. la città sembra conoscere un graduale declino.
Una lettera del VI secolo di Gregorio I ci racconta della presenza di un vescovo ad Aleria, ma non è ancora stata trovata alcuna cattedrale.
Nel XIII secolo sembra esserci una fase di sfruttamento delle rovine: consisteva nel riciclaggio di elementi architettonici che venivano trasformati in calce o riutilizzati nella costruzione di opere murarie. Si possono osservare tracce di questo fenomeno sull’arco occidentale, dove si vedono impronte in negativo di rivestimenti mancanti.
Lo sfruttamento delle rovine, che sembra essere durato fino al XIX secolo (un periodo di tempo lunghissimo!), potrebbe spiegare la scarsità di marmo nel sito.

Parte Ovest del Foro con le rovine dell'arco occidentale
Rovine dell'arco occidentale

Il Foro fu costruito fra il II e I secolo a.C. Durante i secoli successivi è stato effettuato un rialzo di 40/50 cm, supportato da una lastricatura di scisto, parzialmente visibile ancora oggi. Al centro della piazza è ancora presente lo zoccolo di una statua, probabilmente quella di Augusto e dei suoi figli.
Le botteghe sono meglio conservate nella parte meridionale del foro che in quella settentrionale; si nota una successione di monolocali con due aperture, una verso il portico ed il Foro e l’altra sul cortile.

Due vie si incrociano nell’angolo meridionale del grande monumento. Si tratta di due strade principali, decumano e cardo. C’è poi un terzo asse parallelo al cardo nell’estremità occidentale della città ai margini del precipizio che domina la pianura di Tavignanu.

Dal Foro l’accesso all’asse meridionale è materializzato da un arco augusteo di cui restano soltanto i ruderi. L’entrata della galleria settentrionale del monumento situato ad Est è segnata da un arco più antico dell’epoca di Silla. Su questo sussistono ancora blocchi in roccia calcarea ed un resto di muratura in opus reticulatum.

Tempio nella parte Est del Foro

 Alla fase attuale degli scavi risultano due templi speculari, ad Est e a Ovest del Foro. Il tempio Est, che conserva alcuni elementi architettonici risalenti alle epoche di Silla e di Augusto, fu riabilitato ai tempi di Adriano.
Il tempio Ovest è costruito su una sopraelevazione artificiale del terreno, e fu edificato sulla base di un edificio più antico, di II secolo a.C., di dimensioni inferiori.

In epoche differenti furono realizzati più di dieci serbatoi, pubblici o privati. L’approvvigionamento della città di Aleria si basava sulla raccolta dell’acqua piovana possibile grazie ad un sistema di canalizzazione in terracotta o in piombo.

Troviamo anche il Balneum, una dimora imponente costituita da diverse stanze costruire attorno a tre cisterne (rifornite direttamente dalla tettoia). Questo edificio disponeva di terme proprie di cui sono visibili le vestigie della parte Ovest del monumento.

Sono visibili, inoltre, altri due stabilimenti termali; il primo è situato a settentrione del tempio occidentale e si tratterebbe delle “terme di giù”, apparentemente pubbliche e utilizzate durante l’Alto Impero Romano, mentre il secondo si trova nella parte posteriore del grande monumento occidentale.



Ad Aleria, nel Forte di Matra, è allestito il Museo Dipartimentale Jérôme Carcopino, il quale espone una parte delle collezioni provenienti dagli scavi della necropoli di Casabianca. È esposto il contenuto delle maggiori tombe, comprendente ceramiche, armi ed utensili vari di origine greca, italica, punica ed indigena che accompagnavano il defunto nella sua dimora. Tra le ceramiche vi sono pezzi notevoli, tra cui un Cratere del Pittore di Pan ed un Cratere del Pittore di Berlino, entrambi risalenti al V secolo a.C.

Il cortile interno del Forte di Matra
 
Forte di Matra

STORIA DELLA RICERCA
I resti della città antica di Aleria sono descritti per la prima volta da Prosper Mérimée (1803-1870) dopo il suo viaggio come ispettore in Corsica nel 1839. Cita soprattutto l’arco occidentale e le fasce di livellamento della costruzione rettangolare laterale.
Tra il 1955 e il 1960 Jean Jehasse intraprende i primi scavi importanti. Questo periodo è segnato dalla scoperta del Foro e di una grande parte dell’insediamento romano attualmente visibile. Viene anche trovata la necropoli di Casabianca a circa 1000 metri a sud dall’insediamento antico e viene scavata tra il 1960 ed il 1981.

Una delle teche conservate al Museo di Aleria








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